venerdì 3 luglio 2015

Jp Morgan, le costituzioni del Sud Europa, il Ttip e la crisi greca - una lettura non convenzionale

Qualche giorno fa, sui blog di Micromega, l'economista Sergio Cesaratto ha pubblicato un post sulla crisi greca.

La sua analisi apre scenari che stuzzicano il fascino per il "mito", un fascino che ciascuno di noi, anche se in misure diverse, nutre.

Un popolo che fa propri gli ideali di libertà, giustizia (anche sociale) e democrazia in lotta contro il mondo intero, in cerca di alleanze con chi si è già ribellato all'ordine imperiale.

Ognuno, anche se non intimamente ribelle, subisce il richiamo romantico di questa sfida. Sembra qualcosa di epico, e, anche se finisce male, siamo abituati a "eroi romantici" che perdono. Del resto il fascino del mito sta anche in quello.

Io stesso non nego di aver fantasticato su alcuni scenari evocati; però, nonostante tutto, la sensazione di fondo che provavo era la stessa che percepisco leggendo anche altre analisi: è condivisibile, sembra spiegare, eppure... manca qualcosa...

Forse il limite prospettico è il mio, ma quella che mi sembra mancare è un'analisi deterministica dello scenario, nel senso che dà Carr a quel termine, cioè di una spiegazione causale dei fenomeni, valutati nel loro divenire storico.

Cerco di spiegarmi meglio.

Qualche tempo fa in un documento redatto dalla banca d'affari Jp Morgan si leggeva:

"I sistemi politici dei paesi del sud, e in particolare le loro costituzioni, adottate in seguito alla caduta del fascismo, presentano una serie di caratteristiche che appaiono inadatte a favorire la maggiore integrazione dell’area europea."

Secondo me, ma posso anche sbagliarmi, per spiegare la crisi greca si dovrebbe partire da qui.

Perché nel 2013 negli ambienti di Jp Morgan circolavano quelle parole? E, soprattutto, quali sono le caratteristiche di quelle costituzioni che le rendono "inadatte a favorire la maggiore integrazione dell'area europea"?

La risposta forse, la troviamo nel Ttip, l'accordo di libero scambio tra Europa e Stati uniti, o, almeno, riflettendo su quel poco che trapela da una trattativa diplomatica che spesso ci viene narrata come "segretissima".

Pare che una delle clausole sulle quali si poggerà il trattato, consentirà alle imprese private di fare causa ai governi che applicano norme in qualche modo in grado di danneggiarle, qualsiasi esse siano.

Le costituzioni del Sud Europa questo non lo consentono, in esse l'interesse privato non è considerato predominante su tutti gli altri, pertanto, per abolire una legge, o hai la forza sociale di vincere un referendum, o vuol dire che la maggioranza della popolazione considera quella norma equa e tu, impresa, sei semplicemente parte di un sistema complesso ispirato dai valori di libertà, eguaglianza, fraternità (per farla semplice).

Secondo me la Grecia, oggi, è uno dei terreni sul quale queste due visioni si scontrano, e una vittoria del no, forse, sarebbe molto più importante sul piano europeo, che in un'ottica che prevede l'uscita della Grecia dall'euro e dall'Unione.

L'idea stessa di Europa, proprio come le costituzioni del suo Sud, nasce nelle carceri fasciste. Troppo poco spesso ci facciamo caso, ma l'Europa, è anche il primo tentativo di costruire una struttura sovranazionale (qualsiasi cosa si voglia intendere per "nazione") su basi democratiche, repubblicane e mediante il libero accordo dei popoli.

In un mondo dominato da multinazionali (anche europee) che hanno un potere politico ed economico spesso maggiore rispetto a quello di diversi stati, un tentativo del genere dà fastidio innanzitutto a queste, soprattutto se quell'ordine sovranazionale è ispirato dagli stessi valori che animano le costituzioni del Sud Europa tanto sgradite a Jp Morgan.

La lotta in Grecia, secondo me, non è tanto legata alla sola austerity, ma a due visioni della società molto diverse, per questo credo che una vittoria del no, seguita dall'accordo più vantaggioso possibile per il popolo greco, sarebbe molto più utile di un'uscita della Grecia dall'Europa. Ridarebbe forza e slancio alle forze popolari in tutta l'Unione, in un contesto di sempre maggiore collaborazione fra quest'ultime.

A quel punto la lotta sarebbe costituente, nel senso del lottare per una costituzione europea il più avanzata possibile, basata sui valori della resistenza.

Un contesto del genere sarebbe maggiormente favorevole anche se allarghiamo la visione oltre i confini europei.

La Cina, per esempio, non avrebbe alcun vantaggio a investire in una Grecia fuori dall'Unione, perché, in un contesto di isolamento, la Grecia diverrebbe per la Cina una semplice nicchia di mercato, non la porta dei mercati europei, un luogo dal quale le merci giungono a Vienna (pare che i cinesi stiano progettando una ferrovia ad alta velocità che unisca il Pireo a Vienna) e nel resto d'Europa in poche ore.

L'Europa, dal canto suo, potrebbe "imporre" sia alla Cina, sia agli Stati uniti, un salario minimo, oltre che norme che sanciscono i diritti dei lavoratori e la salvaguardia dell'ambiente.

Secondo me, ponendo alla base dell'analisi che non esiste un'Europa diversa da quella dell'austerity, ci si preclude un terreno di gioco che, forse, sarebbe più favorevole alla lotta per i diritti, la dignità, la libertà, l'indipendenza e la democrazia, non solo in Europa.

Un contesto nel quale il vecchio motto che invitava tutti i proletari del mondo a unirsi, acquisirebbe maggiore senso, anche se il proletariato è profondamente cambiato e, forse, non si può più chiamarlo così. Ma questo è un altro discorso...

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